domenica 26 ottobre 2014

Presentazione del libro di poesie di Bianca Mannu "Il silenzio scolora"


Presso l'Università della terza età di Cagliari, il 24 ottobre 2014 è stato presentato il libro di poesie di Bianca Mannu "Il silenzio scolora" ed. Mariapuntoru, Cagliari.
Nelle foto: La poetessa Bianca Mannu, i due relatori Maria Rosa Giannalia e Carlo Onnis e l'editore Giampaolo Salaris.







Nella foto  la copertina del libro.



Presentazione del libro
(dalla pagina introduttiva de "Il silenzio scolora")


Il silenzio scolora

Presentazione

Il titolo emblematico “Il silenzio scolora” di questa nuova silloge che Bianca Mannu propone al pubblico dei lettori, rimanda ai temi di tutte e  sei le sezioni dell’opera: la sovversione  indotta dall’amore che erompe d’improvviso nella vita di una donna e l’assenza.
Se infatti, l’amore è l’oggetto di tutte le poesie presenti in questa raccolta, è l’assenza il fulcro attorno al quale si sostanzia l’insieme di emozioni e sentimenti di cui la poetessa ci vuole parlare.
Il sentimento primordiale dell’amore  si affaccia prepotente nella sezione incipitaria Preludi,  già presente  in nuce nella donna-bambina  attraverso l’immagine dell’uomo-padre. La stessa bambina che, affrancatasi da tale immagine, porta successivamente a maturazione la sua femminilità insieme all’ineluttabile accettazione, condizione ad un tempo di privilegio per la capacità di scavo emotivo e di sofferenza per la situazione di perenne attesa cui questo sentimento prorompente la destina.
Nella prima sezione,Come inatteso, l’irruenza con la quale si presenta l’amore ( Di colpo. Come una traccia opaca/ nel flusso aurifero del sole…/ s’iscrive la tua assenza) con il  suo irrompere improvviso nel quieto trascorrere dei giorni, crea nell’immaginario femminile un desiderio che, destinato a essere continuamente disatteso, determina uno spazio nuovo, ma uno spazio di assenza, cifra e senso al di là dei quali non può più essere ripristinato il primitivo trascorrere esistenziale. Tale spazio marcherà per sempre la scansione temporale  e non  consentirà all’io lirico di ripararsi da questa prorompente presenza-assenza se non nel canto poetico. Ed è questo canto che può mostrare e dimostrare le attese femminine del rapporto amoroso nel desiderio atteso e disatteso di accogliere e trattenere il corpo dell’altro in perenne ricerca di unità di Eros e Anteros ( Se la calce t’infiora viso e mani / del candore amaro dei pruni- t’amo…) E ancora, la tenerezza e la fragilità con le quali la donna si avvicina ad accarezzare il corpo amato ( …Di ciò che è stato/ avanzerà graffita una scrittura /-vaga- su un pezzo d’umana eternità ) non potranno avere altro esito se non quello della trascrizione poetica in pagine  destinate anch’esse a trasformarsi in una fiaba buona per essere narrata ai piccoli che  sapranno mutarla in flotte di pallidi velieri - per solcare/ in sogno gli acquitrinosi mari dei cortili.

sabato 25 ottobre 2014

Due novembre



                            L'immagine viene da qui
                                                                                        




Hanno reciso ai cipressi
la malinconia
e spandono ora sentore
di giardino
nel plumbeo cielo di febbraio.

Nelle stradine le tombe
si affacciano festose
di fiori e foto ovali
donde ognuno racconta
silenzioso la sua storia.

E accade che il giovane
schiantato dagli improvvidi
suoi anni
parli di sé con noi                                                                                                 
insieme al vecchio ciabattino
dei miei sei anni
quando ignara
mi aggiravo col vestito della festa
tra tombe e fiori
a mostrare alla nonna
la mia borsetta nuova.

Mostra di sé fa ancora
l’uomo di  potere
che dall’oro sepolcrale
delle lettere del nome
fu crudamente ristretto
in un sintetico A.no.


E il poeta assertore e cantore
di virtù mi guarda
ignaro di me che lo ricordo
nel fulcro dei suoi anni
coraggiosi
e forse ancora crede
(chissà)
nel riscatto di questa
sua città.

Ancora…un bimbo sgrana
dall’ovale di porcellana
gli occhi azzurri e grandi
con insolita speranza 
in questo sito

La bellissima signora
con gli occhiali
di metallo dorato
mi guarda
incredula anche lei
di esser là
e dietro ai finti fiori rossi 
sorride perché
nessuna angoscia ormai
la tocca più

e rimbombano i miei passi
solitari
nella discesa
donde si scorge il mare
 nel cielo opalescente
in fondo eterno uguale.



domenica 12 ottobre 2014

Dei rumori molesti e di altre idiozie




L'immagine proviene da qui




Saranno forse le tecnologie a salvarci la vita? O quanto meno a preservarla? Suppongo di sì. Non potrei pensare altrimenti, vista la profusione di macchine elettroniche molto sofisticate, impiegate un po’ in tutti i settori, specie in medicina e bioingegneria. E nella vita quotidiana. Credo che nessuno di noi potrebbe più vivere senza cellulare o senza tablet. Siamo tanto abituati a fruire di queste apparecchiature, che difficilmente potremmo pensarcene privi. Anzi proprio non concepiamo più la nostra vita senza di essi. Che fine farebbero se no le reti di relazioni che siamo stati capaci di intessere durante tutta una vita? Finite. Dimenticate. Nel giro di qualche settimana nessuno si ricorderebbe più di noi.
Per questo ci si frequenta sempre più in chat e wats app che in presenza. Non c’è più bisogno della presenza fisica, se non, forse, quando si va al ristorante. Capita così che quattro-sei persone si diano appuntamento intorno ad un tavolo al ristorante o in pizzeria, con l’intenzione ( io penso) di scambiare quattro chiacchiere, magari anche di farsi quattro risate, raccontando episodi buffi della propria vita e di quella altrui. Ma, una volta sedute, le persone non parlano. Digitano. Guardano con concentrazione un piccolo schermo. Ciascuno seduto al proprio posto. Capita anche che qualcuno accenni ad un vago ,breve, spezzettato discorso. Ma la voce si deve fare spazio attraverso le note di canzoni rock o melodiche, a seconda dei gusti  dei ristoratori, o tra le voci agitate e sincopate dei presentatori televisivi. Il tutto ad altissimo volume. Una volta sono entrata in un caffè. Era un caffè elegante, vicino al mare, arredi bianchi, cuscini color sabbia, piante mediterranee intorno al terrazzo di legno che affacciava sulla spiaggia pulita e, in fondo, il mare appena lucidato a nuovo dal maestrale. Ecco, questo posto mi piace, il solo rumore è quello del vento tra le piante e il brontolio in lontananza dell’acqua. Mi voglio fermare qui. Non c’era nessun avventore oltre a me. La sala bar era completamente vuota. Mi fermai per circa un’ora, lessi una buona parte del libro che avevo con me. In tutto questo scorrere di minuti, non erano entrati che quattro, forse sei persone e non si erano trattenute a lungo. Mi colpì il silenzio. Era bello quel silenzio, invitava a parlare con se stessi. I tre camerieri erano dietro il bancone, parlottavano tra di loro sommessamente. L’avevo subito eletto a unico mio luogo per  i pochi momenti da dedicarmi. Mi piaceva. Questo avveniva tre anni fa. Seppi, più tardi, che quel locale era stato appena aperto al pubblico. Ci sono ritornata all’inizio di quest’estate: l’arredo, i tavoli, la spiaggia, il mare, erano gli stessi, ma era il locale nel suo complesso a non esser più lo stesso posto che avevo apprezzato io: una serie di canzoni a tutti decibel impediva il benché minimo colloquio con tutti, anche con se stessi. E così ho capito. Ho capito che i luoghi pubblici non sono fatti per il benessere , appunto, del pubblico. Anzi di ciascuno di noi, in quanto individui, non gliene importa niente a nessuno, né ai proprietari, né ai fornitori dei locali stessi. Anzi sono quest’ultimi che impongono il dio assoluto dei nostri tempi, il consumo di beni materiali e immateriali, per indurci ad ulteriori altri consumi. Altro che curarsi del nostro benessere o dei momenti che  ci riserviamo ogni tanto per fare il punto della nostra esistenza e ricaricarci con delle piccole pause! Se pause ci devono essere che siano pause sonore, pause senza  soluzione di continuità tra i rumori degli ambienti di lavoro, famiglia e altro e i rumori costanti e indifferenziati dei locali. Stai qui, mangia, bevi, ascolta musica (musica???) PAGA e vattene. Non hai diritto alla parola. Non devi avere niente da dire. Non abbiamo bisogno delle tue opinioni. Anzi, sai che ti diciamo? Neanche tu hai bisogno delle tue opinioni. Non ti devi stare a sentire. Tanto ti dici solo sciocchezze. Quindi è inutile che perdi del tempo per noi preziosissimo. Il tempo che tu passi in questi pensieri oziosi, per noi è tempo perso. Tempo che non ci fa guadagnare. Quindi tempo sprecato.
Questo vale ovviamente per qualsiasi locale pubblico. Avete mai fatto la triste esperienza di finire in un pronto soccorso di qualsiasi ospedale? Io sì. E’ vero, non sono proprio tutti come quelli che adesso descriverò, ma sono sicura che nel giro di qualche anno, lo diventeranno.
Si presume che al pronto soccorso ci si vada perché si sta proprio tanto male che si ha urgenza di ricevere un soccorso immediato. Niente di più falso. La sala d’aspetto è organizzata esattamente per tempi di attesa variabile dalle due ore all’intera giornata. E infatti come sono arredate queste sale? Quando ci si arriva, sembrano persino confortevoli: oltre alle sedie anatomiche in numero molto abbondante, ci sono le macchinette distributrici di bibite e bevande, come se uno, completamente preda di dolori atroci, piegato in due dallo strazio fisico e mentale, dica tra sé e sé: toh, adesso mi faccio un caffeuccio, così, tanto per ingannare l’attesa. Chissà se il dolore, spaventato dal caffè nero, deciderà di lasciarmi in pace! Ma per un conforto ancora maggiore, se non bastassero  caffè,  tè , acqua minerale,  bibite,  merendine, cosa c’è posizionato in bella vista  a troneggiare nella parete più grande della sala? Un MAGNIFICO TELEVISORE che, nel caso in cui non fosse sintonizzato su i TG dei diversi canali nazionali che ci inondano di pessime notizie, così tanto per tiraci sù il morale, ci spara musica a tutto volume! Musica che spazia dai rapper con annessi video, alle canzoni dei gruppi rock che più sono di successo e più assordano i malcapitati pazienti. I quali sono costretti ad esercitare la loro pazienza fino al massimo grado di  tollerabilità.
In queste situazioni io mi sono trovata più volte. Ma la cosa  alla quale non ho mai saputo darmi risposta è questa: ma come fanno i consigli di amministrazione degli ospedali che lamentano scarsità di risorse, a dotare tutte le sale di televisori? Ma perché devono darsi pensiero di alleviare le nostre sofferenze mentre attendiamo di essere ricevuti da un medico?
Vi prego, ve lo dico da questo post, non datevi questo pensiero per noi. Lasciateci ai nostri dolori, alla nostra attesa silenziosa. E se proprio volete aiutarci…liberateci da questi mali aggiuntivi. Riceveteci al più presto e curateci come si deve! Senza licenziarci immediatamente dopo avere distrattamente e di mala voglia ascoltato i nostri bisogni.