giovedì 28 maggio 2015

Pensieri oziosi intorno ad un manifesto elettorale

Ieri, di ritorno a casa dopo una mattinata passata in giro per fare commissioni nella mia città di Quartu S.E., ho trovato nella cassetta postale due dépliant di propaganda elettorale.
Tra i tanti che in questi giorni hanno intasato la mia, come tutte le altre cassette postali del condominio in cui abito, ho notato proprio questi due  perché molto grandi e invasivi. Ho dato uno sguardo distratto, ma poi qualcosa ha attirato la mia attenzione in forma consapevole. Il grande logo di un nuovo partito, che ricalca in chiave sarda il partito vincente spagnolo e  che promuove la candidatura del sindaco uscente e di due nuovi sostenitori, candidati per il consiglio comunale, mi ha costretto a leggere tutto il manifesto e, naturalmente a fare le mie considerazioni.
Accanto al logo del partito, in tutta evidenza e in caratteri cubitali, campeggia la frase fulminante: Il 31 maggio dai il tuo voto alla lista *** CON VOI possiamo continuare a lavorare per la crescita della città.
Niente da obiettare sull’efficacia comunicativa di questo manifestino che , sicuramente è stato elaborato da professionisti del mestiere. Non c’è dubbio che catturi l’attenzione del pubblico, così come ha catturato la mia.
Ma forse c’è, anche in questo, “un anello che non tiene”, e risiede proprio in quei tre verbi così perentori  possiamo-continuare-a lavorare per la crescita della città.
Va da sé che un cittadino quartese possa chiedersi: ma quali lavori? Per quale citta? E, poi, quella possibilità espressa senza un'ombra di dubbio: possiamo continuare, trattandosi appunto di candidati che già nella presente legislatura hanno avuto l’occasione di farli, essendo stati regolarmente eletti dalla maggior parte dei Quartesi e dunque preposti all’amministrazione e  alle decisioni.

Sono stata dunque incoraggiata ad una disamina più approfondita di alcuni aspetti  della città, quelli più macroscopici, quelli che un cittadino non addetto ai lavori, ma che vive  e lavora in città, vede anche se non vuole vedere.

Strade: non c’è una strada, dicasi una sola, nella città di Quartu che non sia costellata da buche en plain air più o meno grandi in cui il cittadino ignaro va a rovinare con le gomme della sua auto, facendo sobbalzi di tutto rispetto in grado di fargli risparmiare i soldi di qualsiasi palestra ginnica, ma non quelli del meccanico; e ancora  i lavori pubblici, fatti senza alcuna pianificazione che non hanno prodotto altro che tagli dell’asfalto a intervalli ripetuti nel tempo, tanto che gli automobilisti possono tranquillamente esercitarsi in voluttuose gimkane; per non parlare dei giri labirintici cui sono costretti a causa della segnaletica , a dir poco, manicomiale. Un piccolo esempio di cattiva pianificazione? Non si capisce perché mai nella via S. Benedetto si stia ripristinando la pista ciclabile, quando quella che era stata fatta dalla precedente amministrazione, è stata eliminata per far posto ai parcheggi,  molto più razionali. Allora perché ripristinarla? Anche in considerazione che tale pista poi non si collega a piste analoghe né nella via Fiume né nel viale Colombo. Sarebbe come dire: i ciclisti, dopo avere percorso la pista, per transitare nelle altre strade hanno due possibilità: o caricarsi la bicicletta in spalla e attraversare a piedi tutta la strada senza pista, o immettersi nel flusso di tutti gli altri veicoli, autobus compresi.

Marciapiedi: non ce n’è neppure uno in tutta la città che faccia onore al suo nome: permettere ai passanti di marciare a piedi. Lastricati rotti in moltissimi punti, escrementi di cani, spazzatura caduta dai contenitori che non viene  raccolta dal personale preposto nè dagli stessi abitanti autori dell’abominio, non permettono alcun passaggio né, men che meno, passeggiate. I malcapitati passanti, specie se anziani, devono fare moltissima attenzione per non cadere in queste buche e rompersi qualche gamba (personalmente ho udito molti racconti da parte di anziani costretti a lunghe sedute di fisioterapie);

Edifici di proprietà comunale: abbandonati al loro destino. Vedasi il caffè del parco prospiciente il parco Europa ormai totalmente vandalizzato in tutta le sue parti e allegramente contornato da spazzatura di ogni tipo. Ogni tanto vengono inviati alcuni manutentori  del verde pubblico che potano artisticamente le sparute piante, quelli che affacciano nella strada, perché alle altre, essendo più nascoste alla vista dei passanti, non viene riconosciuta pari dignità, quindi esse, le piante, possono lentamente morire o rimanere nel loro status quo. L’edificio molto vasto della parallela di via Fadda, che avrebbe dovuto essere adibito a casermetta, non è mai stato aperto né ha avuto altre destinazioni.

Stadio o meglio ex stadio di calcio: dopo tutto lo smantellamento degli spalti, rimosso il rimovibile, quale è stata la destinazione di questi spazi? Ancora dobbiamo capirlo.
Questi sono solo alcuni, pochissimi e brevi esempi dello stato di degrado in cui versa la città.

E allora lo slogan del manifesto elettorale di cui sopra 31 maggio dai il tuo voto alla lista *** CON VOI possiamo continuare a lavorare per la crescita della città, mi sembra che suoni come una beffa. Continuare a lavorare?
Ma io non voglio che questa giunta continui a lavorare,anzi  non voglio che continui, punto.
In cosa e perché mai dovrebbe continuare a lavorare? Per raggiungere quali risultati, viste le premesse?

E’ questo che mi sono chiesta leggendo il manifesto. E spero se lo chiedano in tanti come me.

mercoledì 27 maggio 2015

Sulla poesia



                                                 L'immagine proviene da qui


 II                                                                                           
Con orrore
la poesia rifiuta
le glosse degli scoliasti.
Ma non è certo
che la troppo muta
basti a se stessa
o al trovarobe che in lei è inciampato
senza sapere di esserne
l' autore.

Eugenio Montale, Satura I

martedì 19 maggio 2015

Il mio primo libro di fiabe



Non avevo mai scritto fiabe prima. C'è voluta tutta la fantasia e la curiosità di Rebecca, la mia prima nipotina, per fare affiorare i ricordi sopiti della mia infanzia. E' straordinario come ciò che pensavi perduto per sempre, relegato nelle pieghe dimenticate della tua memoria, possa d'un subito venire fuori anche senza provocazione. In questo mio caso la provocazione c'è stata e si chiama "logica di  Rebecca". 
E' da questa provocazione che è nata l'idea di questi racconti. Questi racconti hanno preso una loro forma autonoma e si sono trasformati in un libro. E questo libro adesso  è qui , un libro vero, di carta, che si può toccare, sfogliare, annusare, guardarne le illustrazioni. 
I disegni li ha fatti lei,  la mia nipotina, che dall'alto dei suoi sei anni, è prontissima a criticare tutto ciò che non le piace e che non rientra nella sua logica.  Perciò non ha voluto sentire ragioni, tutte le volte che la sollecitavo a cambiare qualcosa nei suoi disegni.
Questa logica, diciamocelo noi adulti,  anche piano, in un orecchio, è una logica serrata e stringente che ci sbalordisce, perché non è la nostra logica mediata da anni  di conformismi sociali, da idee che si sono dovute piegare al confronto e alla negoziazione. No. La logica di una bimba di sei anni, come quella di tutti i bambini, è pura. Ed è per questo che le parole dei bambini, ci fanno sentire a disagio, spiazzati e nudi. 
Ma è proprio per questo che dovremmo avere il coraggio di imitarli. Almeno qualche volta. 




martedì 5 maggio 2015

Ma che ne sappiamo delle prove INVALSI?

" Bene hanno fatto le maestre a  scioperare oggi!". 
" Ma sta scherzando, signora? Io lavoro tutti i giorni  otto ore al giorno, a me tutti questi scioperi  mi danneggiano. Dove e con chi lascio la mia bambina?"
" Ma no, signora, oggi dovevano esserci le prove INVALSI, è per  questo che le maestre hanno scioperato!"
" Ma scusi, le sembra giusto che le maestre per non far fare le prove Invalsi ai bambini, non vadano a scuola ed incitino anche gli scolari a non andare?"
"Certo, signora, è giusto! I bambini non sanno fare queste prove, perchè non servono a niente! Le maestre si rifiutano a ragione a non farle fare, perché non corrispondono a tutto ciò che fanno durante la loro attività didattica di tutto l'anno!"
" Ma sta scherzando, signora? Allora perché le maestre non fanno quel tipo di lavoro lì, la mia bambina deve perdere un giorno di scuola. Questo non è giusto. Ho parlato con diverse mamme che sono pronte a portare i loro figli nelle scuole private a causa di tutti questi disservizi nella scuola pubblica,  ma io no. Io non voglio portare mia figlia nella scuola privata. E' lo stato che deve assicurare il servizio pubblico!"
" E invece io le dico, signora, che i bambini non devono essere stressati con l'addestramento alle prove Invalsi. Non se ne può più!"

Questi sono i discorsi che stamattina ho sentito personalmente fare da due mamme che commentavano lo sciopero indetto oggi nella scuola. Tali ragionamenti all'interno di un ambulatorio per la fisioterapia. Donne che per motivi di salute, si incontrano e si confrontano sui temi di attualità che le riguardano da vicino.
Che percezione ha la gente della nostra scuola? Mi sono interrogata su questo argomento. Lo spostamento del problema- sciopero contro la "buona scuola" allo sciopero contro i test dell'Invalsi: perché?
Che confusione! Quanto contano le dicerie che si sparpagliano dai corridoi scolastici agli spiazzi antistanti le scuole e da qui ai luoghi di aggregazione, per le persone che colgono qualche affermazione un po' qua e un po' là, che non leggono nulla, che non si informano con attenzione, che non sanno stare neanche cinque minuti sul problema senza distrarsi, senza lanciare sguardi al cellulare e all'ultimo messaggino arrivato?
E' veramente triste. La più grande tristezza è che nell'epoca delle informazioni veloci, ciò che arriva a destinazione sono soltanto rumors senza nessun costrutto.

Chiariamo prima un concetto: lo sciopero di oggi nella scuola non ha nulla a che vedere con le prove Invalsi. E' uno sciopero regolarmente indetto dalle organizzazioni sindacali per protestare contro la riforma del governo Renzi denominata "La buona scuola".

Una volta chiarito ciò, bisognerebbe chiedersi: ma quanti, tra tutti i docenti e tutti gli utenti della scuola, conoscono nel merito queste benedette prove INVALSi? E non solo per sentito dire? Perché la gente  si arroga il diritto di entrare nel merito di qualsiasi cosa succeda nelle scuole, senza averne la benché minima cognizione?
Di chi è la responsabilità di tutto ciò? Degli insegnanti che non spiegano ai loro alunni il come e il perché dello sciopero, il come e il perché delle prove Invalsi, o non piuttosto della scuola  come istituzione che, anziché informare bene e aprire il confronto su questi argomenti, all'interno degli organi collegiali, dove sono presente anche i genitori, lascia che  le dicerie scorrano per la loro strada e i loro rivoli, nulla apportando né all'informazione reale, né all'opportunità di costruire insieme qualcosa di diverso? Degli stessi genitori che sentono il problema solo quando lo scontano sulla propria pelle?

Perché gli insegnanti non spiegano che c'è differenza tra scioperare contro una legge di riforma della scuola ( la buona scuola appunto) che ha tanti aspetti negativi e che affossa anni di faticose conquiste in termini di didattica per gli studenti e di carriera dei docenti, e dichiararsi contrari ad un unico aspetto di carattere didattico ( i test invalsi) che , peraltro, se utilizzati per una didattica innovativa e consapevole, possono portare ad un apprendimento critico e a competenze sicure nelle due abilità di base ( lettura e comprensione del testo e matematica e risoluzione dei problemi)?.
E' veramente triste la disinformazione che, in primis,  sta alla base della formazione dei docenti e che, in secundis,  riverbera sull'utenza.
Fatto sta che , volenti o nolenti, bisogna che prendiamo atto una volta e per tutte che i nostri studenti sono in coda a quelli di molte nazioni europee ed extraeuropee, e che, in particolare, gli studenti del Sud d'Italia e delle Isole, sono gli ultimi degli ultimi. Ci sarà una ragione per tutto ciò? O dobbiamo dire sempre, parafrasando il povero Jacovitti, "sono un salame per colpa della società?

sabato 2 maggio 2015

Come in un sogno. Ancora malasanità.

E' accaduto un'altra volta. La seconda nella mia vita. Non ne desidero una terza .Vivere per otto giorni la vita di  una corsia dell'ospedale , da degente, non è una  cosa che possa risultare attraente. Necessaria, forse sì, attraente mai.
E quindi  è così che mi ritrovo, mio malgrado, in questa situazione, in un tempo che è come sospeso tra il ritmo di vita ordinario che era anche mio e che adesso non mi appartiene,e quello in cui mi trovo di oggi, quello dei malati avviluppati nella sofferenza, sordi anche al vicino di letto, sconfitti dal proprio dolore.
Il mio è ben poca cosa, un male di stagione degenerato che mi ha necessitata al ricovero , ma il passaggio obbligato mi ha costretto a vedere con altri occhi i miei simili. Tra questi, ovviamente annovero anche il personale ospedaliero. E così ti accorgi di tante piccole sfumature: la ragazza, giovane, in stanza con me, mi racconta il marito, stava per morire, per un malessere stagionale simile al mio, mal curato presso un altro ospedale cittadino.  Non per incompetenza, ma per incuria, non per la pericolosità del virus, ma per la strafottenza del primario che non cura abbastanza l'organizzazione del suo reparto, non per la tragica fatalità contro cui ogni umano agire è inutile, ma per mancanza a-s-s-o-l-u-t-a  di attenzione alla persona. Tutto qui. Come se una volta entrato in ospedale, ciascuno di noi perdesse la sua fisionomia di essere umano, per assumere quella di un "caso" clinico, o, peggio, di un numero di corsia.
Solo l'intervento tempestivo del marito che ha preteso con urla e improperi ( ci vogliono, ogni tanto, basta con questa fiducia nei primari e con il timore reverenziale, alcuni non se lo meritano proprio, né l'una né l'altro)  all'indirizzo del primario, il trasferimento in altra struttura, ha salvato la giovane in questione, mamma di due bambini.
Nella struttura dell'ospedale di Is Mirrionis, reparto infettivi, invece, la giovane è stata curata, accudita amorevolmente da tutto il personale, in primis dalle infermiere che  ne sono fatte carico. L'hanno accudita, coccolata, consolata e curata bene ovviamente. Quanto è importante per un paziente ospedalizzato trovare conforto ed empatia tra il personale ospedaliero? 
L'ospedale è un altrove in cui il tempo diventa altra cosa, si deforma, si dilata. Nella struttura estranea che l'accoglie,  il malato si sente sperso,  tutto sembra complottare contro di lui, e  le difese psicologiche, anche più consolidate, cadono di fronte all'essere un "ammalato". Incombe la paura, il terrore di non farcela, di continuare a star male. Il paziente è indotto a sottomettersi al volere di coloro che sono preposti alla sua vita. Si accosta a loro con timore reverenziale, quasi non chiede, non osa, per timore di essere rintuzzato anche nelle richieste più banali. E allora è il personale paramedico e medico che deve avere la giusta intuizione, che deve accostarsi con RISPETTO al dolore e alla sofferenza dell'altro, sopportandone pazientemente anche le richieste reiterate, anche se sa che non sono necessarie. Il paziente , quando è in ospedale, diventa indifeso, è come un bambino, è nelle mani di altri. Ho avuto modo di apprezzare la grande professionalità dei medici di questo reparto come anche l'umanità veramente grande delle infermiere. Alcune di esse gestiscono il proprio ruolo con grandissima dignità e con dedizione assoluta. Bisogna proprio dirlo, questo è un mestiere faticosissimo e molto molto impegnativo. Ma credo che la bontà del servizio di un reparto dipenda in primo luogo dal primario. E' il direttore che fa la differenza nei reparti. E la cosa è evidente anche al primo sguardo: pulizia, silenzio nei corridoi, personale efficiente, gentilezza e calore umano. Tutto questo conta almeno al 50% per la guarigione del paziente contribuendo al suo benessere psico-fisico.
Con tutto quello che la Regione Sardegna spende in sanità, con una 
spesa sanitaria complessiva che ha raggiunto quasi tre miliardi e 360 milioni, pari a quella del Lazio ma per solo un milione e mezzo di abitanti ( tanti siamo tuttora i residenti nell'isola), non sarebbe cosa buona e giusta pretendere non solo l'accuratezza e la professionalità nelle cure, ma anche un trattamento dignitoso dei pazienti, improntato alla vita di una comunità che si ritiene civile?
Invece...non è proprio così. C'è una differenza notevolissima non solo all'interno delle divisioni ma anche tra reparti e reparti. Se si è fortunati, può capitare di trovarsi nella corsia giusta, altrimenti bisogna affidarsi alla divina provvidenza, se si è credenti.
Non penso proprio che, viste le cifre citate, noi cittadini ci dobbiamo rassegnare a questo sistema. Bisogna levare la voce, farsi sentire, dire  con fermezza il proprio parere e, se l'ammalato non può, devono farlo i familiari. Non possiamo sopportare che mentre si sperperano milioni e milioni di euro, provenienti dalle nostre tasse e quindi dalle nostre tasche, dobbiamo accontentarci di un servizio scadente da paese del terzo mondo.
A queste cose dobbiamo pensare quando facciamo le nostre scelte politiche e non alle alchimie di potere che, da qualunque parte vengano, non vengono certo per il nostro meglio.
In Sardegna, in particolare, dovremmo proprio smetterla di guardare altrove e invece guardare al nostro interno, a ciò che avviene nelle  nostre istituzioni, e insistere su queste, senza farci sviare verso altri problemi messi davanti ai nostri occhi non per farci vedere ma per accecarci.