lunedì 11 luglio 2016

Apprendere ai tempi di internet: una sfida?



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Apprendere ai tempi di internet: una sfida?


Che l’apprendimento sia ormai per buona parte sganciato  dai luoghi istituzionali di riferimento,  imprescindibili per la mia  generazione , è un fatto assodato. Non si fa che ripetere questo concetto ad ogni occasione ufficiale e no, nei libri dedicati alla formazione dei docenti come anche nelle trasmissioni televisive , nei giornali divulgativi e in quelli di massa, perfino nei rotocalchi.
La scuola ha preso atto di ciò già da molto tempo, tanto è vero che quelle che fino a venti anni fa, nelle riviste specializzate, erano indicate con l’espressione nuove tecnologie informatiche  ora sono citate molto più semplicemente come tecnologie. L’uso di queste tecnologie, entrato come prassi assodata nella nostra vita quotidiana e nel nostro lavoro, è una di quelle cose che  molti di noi non avrebbero mai immaginato di potere usare in un passato anche molto recente.
Oggi , pensare di farne a meno, è una possibilità che non sfiora la mente di nessuno: comunichiamo, lavoriamo, ci divertiamo, viaggiamo, ci incontriamo, apprendiamo con internet. E se qualche volta , per un guasto improvviso del nostro pc o del nostro cellulare, siamo costretti a farne a meno, ci sentiamo sperduti e stranieri nello stesso mondo di cui poco prima eravamo parte integrante.
E’ dunque conseguente che, massimamente nell’ambito dell’apprendimento scolastico, di internet non si possa più fare a meno.
Tanta letteratura esistente in merito, ci dice come muoverci con queste tecnologie, come struttuare lezioni e Unità di apprendimento, come rendere accattivante e partecipativa una lezione con la LIM, come rendere gli studenti attori principali del loro stesso apprendimento.
Chi   di noi docenti ha fatto l’esperienza di strutturare la propria attività didattica affidandone una parte o tutta alla costruzione collettiva dell’apprendimento da parte degli studenti nei laboratori informatici, sa , per esperienza, quanto tempo ci vuole perché lo studente possa rendersi conto di quali sono i suoi obiettivi, di come li deve perseguire e in che modo deve accedere alla rete per raccogliere, tra tutte le informazioni disponibili, quelle  funzionali al proprio compito.
Fino a dieci anni fa, si parlava di Webquest, in cui , oltre alle indicazioni di carattere contenutistico, venivano forniti anche le procedure da seguire per, eventualmente, risolvere un compito o fare una ricerca (per una idea in merito rimando al sito: http://www.edscuola.it/archivio/comprensivi/webquest.htm).
Prima ancora che introdurre dei modelli di ricerca e affidarne l’utilizzo agli studenti, credo vadano fatte alcune considerazioni : siamo proprio sicuri che lo studente sappia cercare e discernere nella rete ciò che gli serve? E tra tutte le informazioni che gli servono, siamo sicuri che egli abbia la capacità di reperire ciò che è più funzionale e scartare ciò che non lo è affatto? O ciò che sembra funzionale, ma che poi consente solo di perdersi in un eccesso di informazioni che sembrano tutte importanti?
Oggi l’insegnante è gravato da un compito di docenza ben più grave di quello di un suo collega di venti o trenta anni fa. L’accesso facilitato alle informazioni può permettere,  a chi non ha strumenti adeguati , di perdersi nei labirinti della rete.
Il concetto stesso di “apprendimento” ,una volta affidato alla conoscenza dei contenuti e alla competenza del loro uso per elaborare una personale cultura, è stato completamente rivoluzionato dall’introduzione del Web come imprescindibile strumento di studio.
Allo studente che si accosta ad un compito, non viene più richiesta una “conoscenza semplice” e una competenza circoscritta, per il fatto che entrambe le cose non sono efficaci né per elaborare una conoscenza in breve tempo,  ad es. nell’arco di un quadrimestre scolastico, né  in tempi lunghi, ad es. alla fine del corso degli studi intrapresi.
E dunque , cosa si richiede allo studente? Se il suo obiettivo è la conoscenza delle attività svolte durante il corso dell’anno, finalizzata al superamento dell’esame di stato o al passaggio alla classe successiva,  il successo conseguito può essere anche fallimentare ai fini di ciò che servirà, allo stesso studente, una volta completati gli studi, per la ricerca di un’attività lavorativa.
Nella nostra società, infatti, quasi mai avviene ciò che avveniva fino a quaranta o anche trent’anni fa: svolgere effettivamente un lavoro in linea con il proprio corso di studi.
I giovani oggi si devono inventare il lavoro, e anche la semplice ricerca richiede duttilità, capacità di individuare tra le tante strade percorribili, ancorché lontane dalla propria specializzazione,  quella che potrà permettere di capire quali potranno essere gli sviluppi futuri in linea con i propri interessi, con ciò che si sa fare,  con ciò che si potrebbe imparare ancora a fare, con la propria creatività. In altre parole: la lungimiranza e la pianificazione. Quelle capacità che fanno sì che un giovane possa intravedere, in mezzo ai labirinti caotici delle attività possibili, frammentate e complesse del presente, la propria attività futura, in modo  che questa possa veramente essere in linea non solo con le aspettative, ma soprattutto con le proprie capacità.
Credo che questa capacità debba essere appresa a scuola. Anzi, credo che questa sia la conoscenza principale che serve ad uno studente, verso la quale  dovrebbe essere indirizzato il processo di insegnamento dei docenti.
Sapere scegliere tra i labirinti informatici, le informazioni, poche e circoscritte, ma mirate a ciò che serve veramente, è questa  una competenza a cui dovrebbe essere orientato ogni insegnamento disciplinare. In questo senso oggi è molto più complesso il mestiere del docente, poiché quest’ultimo fa fatica ad abbandonare i paradigmi appresi  nella lunga tradizione didattica del nostro paese. I quali, in modo pervicace ed obsoleto, vengono posti in essere continuamente dalle nostre istituzioni, che, se da una parte propongono nuovi orientamenti curricolari,  dall’altra fanno fatica ad abbandonare il consueto, il tradizionale, blandendo in qualche modo il docente e confortandolo nelle sue metodologie, anziché sollecitarlo verso nuove visioni didattiche. Le quali, sono probabilmente sì meno rassicuranti ma , tuttavia,  necessitati dai tempi.



                                       

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