mercoledì 27 dicembre 2017

'A Tuvatura: terza puntata


di Giuseppe Perricone



   Queste erano orazioni che la madre gli aveva insegnato da bambino e si potevano recitare soltanto in raris­sime occasioni come gravi calamità naturali o per scon­giurare eventuali presenze malefiche soprannaturali.  E ora, secon­do Gaspare, si stava verificando la seconda delle due condizioni: Rosina era vittima d'i Spirdi!
    Il pover'uomo, con le lacrime agli occhi, trepidante per la sorte della figlia, si segnò e sommessamente prese a recitare:-
Unu: supra di Diu 'un ci pò nissunu.
Dui: i tavuli chi purtò Mosè d’u munti Saia (Sinai).
Tr:i i pirsuni d'à Santissima Trinità.- [1]
    Si fermò un istante come a voler prendere fiato e, in crescendo, con un tono di voce man mano più stentoreo, riprese:
Quattru: Evangelisti: Luca, Marcu, Giuvanni e Mattiu.
Cincu: li chiai di nostru Signuri Gesù Cristu.
Sei: i missi chi Diu dissi.
Sett:i i cannili c'addumanu in allirìa 'nnanzi alla Vergini Maria.
Ottu: cori d'Ancili.
 Novi: armuzzi giusti.
Deci: i Cumannamenti di Diu.
Unnici: i rai du suli.
Durici: i paroli d'à virità!!! [2]
   Le ultime frasi furono pronunciate con veemenza e rabbia.
   L'orazione sortì l'effetto sperato. Infatti Rosina sembrava tornata quasi alla normalità. Ora  il  suo corpo era scosso da singulti, teneva gli occhi e la bocca chiusi e calde lacrime liberatorie le inondavano il viso.
   Gaspare si chinò vicino a lei e per prima cosa, non senza una certa fatica, le liberò le mani che teneva ancora fortemente serrate alle traverse della sedia, poi, finalmente la tirò fuori dalla sua prigione.
   Quando la bimba fu liberata, anche lui si accasciò per terra. La prese in braccio e con lei stretta fortemente al petto rimase a lungo in quella posizione carezzandole i capelli e il viso e chiamandola dolcemente per nome. Ad un tratto il tocco leggero e delicato di una mano sulla spalla lo fece sobbalzare.
   - Papà...! Papà...! Che ha Rosina? Che le é successo? - Era     Ciccio, con ancora il coltello in mano; dietro di lui veniva Damiano col piccolo Andrea addormentato fra le braccia.
    Solo allora Gaspare si rese conto del tempo trascorso; infatti, osservando la candela accanto a sé, si accorse che ne restava ormai soltanto un mozzicone.
    Si sollevò gravemente da terra con la figlia che, anche se dormiente, non accennava ad allentare la stretta con cui gli si teneva aggrappata al collo.
   Quando si accorse che Ciccio stringeva ancora il coltello nella mano e che continuava a scrutare guardingo ogni anfratto della camera con atteggiamento timoroso e tuttavia di sfida, non poté trattenersi dal sorridergli. Gli si avvicinò e con uno strattone affettuoso lo strinse a sé. Notò pure  le guance rigate di pianto di Damiano che, impaurito com'era, cercava anche lui di assumere un contegno il più virile possibile.
    Gaspare era commosso. Li strinse teneramente a sé e lascian­do il residuo di candela a consumarsi in quella stanza, spingen­doli  con tenerezza, uscì di lì insieme a loro.
   Quella notte dormirono tutti nella grande stanza da letto che era perennemente illuminata dalla luce fioca di uno stoppino acceso sotto un quadretto della Madonna.
   Su disposizione del padre, i due ragazzi, dopo aver adagiato Andrea nel letto grande, portarono due materassi dalla loro stanza, li stesero per terra e vi si posero a dormire. Damiano, dopo avere smaniato per alcuni minuti, finalmente, fu avvinto dal sonno. Con la sua teneva stretta la mano del fratello maggiore, come a cercarne la protezione con quel semplice contatto. Ciccio, invece, rimase seduto sul materasso con le spalle appoggiate al muro e poté prendere  sonno soltanto poco prima dell'alba.
   Nel letto Rosina dormì in mezzo al fratellino minore e al padre al quale rimase abbracciata tutta la notte. Lui, Mastro Gaspare, invece non dormì affatto. Ogni qualvolta tentava di assumere una posi­zione più comoda la bambina riprendeva a lamentarsi nel suo agitato dormiveglia. Ma non fu solo questa la causa dell'insonnia dell'uomo. Molti pensieri gli si affollavano nella mente.    
   Mastro Gaspare, sebbene in linea di massima credesse  in ogni tipo di manifestazione del soprannaturale di cui é ricca la tradizione popolare locale, tuttavia era un razionale; era di quelli che prima di accettare qualunque tesi doveva prima cer­care di saperne quanto più possibile e poi  ricercarne una spie­gazione logica. Ma questo implicava dover consultare la figlia ed era l'ultima cosa che avrebbe voluto fare. Voleva evitarle il ricordo dell'avventura appena vissuta, anche nel caso, in verità alquanto improbabile, che l'avesse soltanto sognata. Ma come poteva essere stato un sogno? Neanche l'incubo più realistico avrebbe potuto far sì che Rosina s'imprigionasse da sola all'in­terno di quella sedia.
   La sua mente era assillata dai dubbi. L'unica cosa certa era che, per ogni evenienza, avrebbe fatto benedire la casa dal Parroco. Poi ripensò all' "ottimo affare" stipulato per acquistarla. Ecco perché i vecchi proprietari l'avevano ceduta a così poco prezzo. Sapevano che era infestata !
   Per circa otto anni quella casa era stata disabitata, ma, stranamente, in paese nessuno ne conosceva il reale motivo. Si era pensato che fosse stata abbandonata perché il pro­prietario che aveva dei figli sposati che abitavano in città, avesse preferito trasferirvisi pure lui per stare insieme a loro. Erano gente abbiente e possedevano diversi appartamenti, alcuni dei quali sfitti. Non avevano avuto alcuna necessità di vendere la casa del paese almeno fino a quando, venuto a mancare il vecchio padre, gli eredi non decisero di disfarsene.
    Questo era quanto si diceva in paese sui motivi che avevano indotto i proprietari a cedere la casa a Mastro Gaspare, il quale, invece, alla luce degli avvenimenti notturni di quegli ultimi giorni, aveva ormai se non la certezza perlomeno il sospetto di essere stato raggirato.
    Poi la sua mente tornò ai dubbi di prima. Come avrebbe potuto conoscere quanto era successo in quella drammatica nottata senza interrogare in proposito la figlia che ne era stata l'unica testimone?       Infatti, se la piccola risvegliandosi non avesse ri­cordato più niente, con quale coraggio le avrebbe riportato alla memoria il dramma notturno che aveva vissuto?                  
    Questi pensieri lo accompagnarono per tutta la notte, fino a quando non si accorse che era giorno fatto dalla luce che filtra­va dalla finestrella nel camerino di Andrea.
    Pian pianino scostò da sé Rosina e scese dal letto cercando di produrre il minor rumore possibile. Decise che quel giorno non si sarebbe recato al lavoro, avrebbe mandato al cantiere Ciccio, che già lo coadiuvava, con le istruzioni per gli operai, ma quando stava per svegliarlo pensò che si sarebbe rivelato un padre quanto meno insensibile se lo avesse fatto, considerato che neanche il ragazzo aveva avuto una nottata tranquilla. Infatti, ricordò di aver notato che fino a meno di un'ora prima era ancora sveglio. Vedendolo ora dormire serenamente, seduto sul materasso e con le spalle ancora appog­giate al muro, rinunciò all'idea.         
    Aveva appena finito di rivestirsi, quando sentì bussare alla porta. Era uno dei suoi operai, mandato dagli altri ad informarsi sulle cause del suo insolito ritardo e per apprendere  eventuali nuove disposizioni in merito al lavoro della giornata.
    Mastro Gaspare gl'impartì alcune direttive e gli disse che quel giorno non si sarebbe recato al cantiere né lui né il figlio perché aveva la bambina che stava poco bene, e che egli stesso doveva accompagnarla dal dottore, mentre Ciccio doveva rimanere a casa per badare agli altri.
    Congedato l'operaio, rientrò nella camera da letto dove si aspettava di trovare i figli ancora addormentati, ma si accorse che il grande non era più al suo posto. Infatti questi si era alzato, si era vestito ed era già intento a lavarsi.
     Gaspare lo raggiunse nel bagno e lo invitò a tornarsene a letto per recuperare il sonno perduto, ma il ragazzo insistette nella sua determinazione di recarsi al lavoro chè: - L'occhio del padrone ingrassa il cavallo.- disse col tono di chi sentendosi già uomo maturo ne ha anche il senso di respon­sabilità e il padre, fiero di lui, accondiscese al suo desiderio.
    Pensò che era meglio lasciare riposare Rosina ancora un po’, di svegliare Damiano e Andrea e mandarli da sua madre. Tutto questo per avere più libertà d'azione in casa. Doveva venire a capo di quella vicenda che stava rendendo impossibile la vita alla sua famiglia, anche se ancora non aveva la più pallida idea sul da farsi.
   Prima svegliò Damiano scuotendolo dolcemente per la spalla e poi, mentre questi si vestiva, preparò la colazione; poi prese in braccio Andrea e, per evitare che il suo frignare disturbasse Rosina, ancora addormentata, lo portò nell'altra stanza dove  il caffellatte era già pronto nelle scodelle.
   Consumarono la colazione in silenzio, dopo di che Gaspare aiutò il piccolo a lavarsi e a vestirsi, e rivolgendosi al più grande disse:
    - Damiano, ascoltami. Porta ‘u picciriddu dalla nonna e rimani con lui chè la nonna é anziana e non può stargli continuamente appresso. Mi raccomando.
    - Non ti preoccupare, papà, non lo lascerò un minuto da solo, puoi stare tranquillo.
    - E... senti...., un'altra cosa... Non dire niente alla nonna di quello che é successo stanotte, se é il caso glielo racconterò io stesso dopo.
    Li vide allontanarsi tutti e due tenendosi per mano.
    Ogni tanto ‘u nicu cercava di svincolarsi, per fermarsi o per correre verso qualcuno o qualcosa che aveva attratto il suo interesse lungo la strada, ma il fratello non gli lasciava spa­zio. Ogni volta che doveva trattenerlo da questi tentativi di fuga, Damiano si voltava indietro per guardare il padre rimasto davanti la porta di casa ad osservarli. Gli mostrava con quanta cura stesse ottemperando ai suoi obblighi di fratello maggiore.
    Gaspare non potè trattenere un moto d'orgoglio nei loro confronti. Era fiero dei suoi figli. Per la prima volta li vedeva sotto una luce diversa. Ormai Ciccio e Damiano non erano più quelli che fino a poche ore prima aveva considerato bambini. Erano due ometti autosufficienti che con molto senso di responsa­bilità cercavano di rendersi utili alla famiglia e di protegger­la. Ciccio lo aveva dimostrato la notte precedente, quando, armato di un semplice coltello era accorso in difesa del padre e della sorella, pronto a lanciarsi contro chiunque attentasse alla loro sicurezza, sebbene anch'egli fosse morto di paura. Quella stessa mattina aveva reso palese anche il suo attaccamento alla famiglia avendo voluto recarsi necessariamente al lavoro, nonostante il padre lo avesse consigliato di rimanersene a casa. 
    Damiano non era stato da meno. Terrorizzato anche lui, aveva dovuto infondere coraggio al fratello minore nel buio camerino di quest'ultimo e proteggerlo da qualcosa di cui nemmeno lui aveva idea. L'atteggiamento da adulto che aveva assunto nell'assicu­rargli con quanto scrupolo avrebbe accudito al fratello una volta in casa della nonna denotava che anche il suo secondogenito possedeva un senso della responsabilità non  comune per un ragaz­zetto di nemmeno dieci anni.
    Mastro Gaspare aveva veramente motivo di essere orgoglioso dei propri figli. Peccato che la loro madre, Donna Giacinta, non potesse vederli, anche lei ne sarebbe stata fiera.
    Rientrato in casa prese a rimettervi ordine. Rimise al loro posto i materassi su cui avevano dormito Ciccio e Damiano e, mentre era intento a rifare i loro letti sentì la vocina preoc­cupata di Rosina che lo chiamava dall'altra stanza.                                                                                                                                                   (continua …)





[1]  Uno, su Dio nessuno ha potere/ Due, le tavole che portò Mosé dal Monte Sinai/  Tre, le persone della santissima Trinità.
[2]  Quattro, gli Evangelisti: Luca, Marco, Giovanni e Matteo/ Cinque, le piaghe di nostro Signore Gesù Cristo/ Sei, le messe che Dio ha celebrato/ Sette, le candele che ardono allegramente dinanzi alla Vergine Maria/ Otto, i cori degli angeli/ Nove, anime giuste/ Dieci, i Comandamenti di Dio/ Undici, i raggi del sole/ Dodici, le parole della verità.

Nessun commento:

Posta un commento